Federico Mecozzi inarrestabile polistrumentista

Federico Mecozzi inarrestabile polistrumentista

Febbraio 3, 2021 0 Di master

Federico Mecozzi nasce a Rimini nel 1992. La predisposizione e l’approccio con la musica sono
precoci: all’età di sei anni inizia a suonare la chitarra, di cui si serve fin da subito per scrivere
canzoni. Partecipa giovanissimo ad alcuni prestigiosi concorsi cantautoriali, ottenendo notevoli
risultati. A 12 anni intraprende il percorso accademico presso l’Istituto Musicale G. Lettimi di
Rimini, dove studia violino sotto la guida del M° Domenico Colaci e, pochi anni dopo, intraprende
gli studi di direzione d’orchestra guidato dal M° Gianluca Gardini; partecipa in seguito a corsi di
perfezionamento nell’ambito della direzione sotto la guida del M° Piero Bellugi. Oltre alle esperienze classiche, Federico Mecozzi realizza numerose opere di grande successo, ultima delle quali, in ordine cronologico si intende, dal titolo “Breeze” di cui l’artista ci parlerà di seguito, dopo averlo tartassato, con grande interesse, di domande circa il suo profilo artistico di rilievo.

Com’è nata la passione per la musica?

Il mistero della musica mi ha colpito già quando ero piccolissimo, ascoltando grazie ai miei genitori che, pur non essendo musicisti, sono sempre stati degli ascoltatori appassionati dalla musica antica al progressive rock, da Bach ai cantautori italiani. In particolare la mia predilezione per De André una passione anche anomala, per l’età di 5 anni mi ha portato da bambino ad iscrivermi al primo corso di chitarra. Amavo suonare, scrivevo le mie prime canzoni, pensavo che nella vita avrei fatto il cantautore, fino al momento in cui, a 12 anni, ho deciso di provare qualcosa di nuovo e studiare il violino: quest’ultimo è divenuto dal primo istante il mio vero strumento. 

Come è stato concepito il singolo “Breeze”?

“Breeze” ha avuto una genesi molto spontanea, quasi di getto. Il brano è ispirato dall’idea di viaggio, di spostamento continuo, di scoperta; per questo la brezza: un vento leggero capace di sollevarci e trasportarci offrendoci la vista di nuove cose, nuovi incontri ed esperienze.

E com’è nato il suo videoclip?

Sono particolarmente affezionato al videoclip perché costituisce un reale diario di viaggio, girato negli ultimi mesi di tour con Ludovico Einaudi, prima che tutto venisse interrotto dall’avvento del coronavirus. In effetti, questo video avrebbe dovuto contenere molti più luoghi, che erano programmati per l’intero 2020. L’idea era proprio quella di descrivere questo tema del viaggio che la brezza rappresenta, attraverso la mia esperienza personale. 

E l’album da cui è estratto? Oppure è in cantiere un album che lo conterrà?

“Breeze” è in realtà un brano che esiste già da tempo e che ho eseguito più volte nei concerti, ma che non era mai stato pubblicato. Oggi è quindi il primo di una serie di nuovi brani che usciranno e che anticiperanno il mio secondo album.

Com’è stato il percorso dall’esordio ad oggi?

Il mio progetto da solista e autore ha avuto inizio nel 2019 con l’uscita del mio primo album “Awakening”. Indubbiamente si è trattato per me di una svolta molto significativa, che ha soddisfatto il bisogno che sentivo di intraprendere qualcosa di totalmente mio, dopo tanti anni di bellissime collaborazioni che proseguono tuttora prima fra tutte quella col Ludovico Einaudi -. Questo è infatti uno dei motivi per cui il mio lavoro si è intitolato “risveglio”: un ridestare tutte le sensazioni artistiche che avevo raccolto, rimescolandole e facendole mie, toccando diversi mondi musicali una cifra, quella dell’incrocio tra linguaggi sonori diversi, in cui credo molto -. Da lì è cominciato un bellissimo percorso costantemente in crescita, fatto principalmente di concerti. Un’altra interruzione avvenuta nel 2020 è stata infatti quella del mio primo tour europeo da solista, rimasto a metà. 

 

Quali sono le influenze artistiche?

Come dicevo, la mia necessità primaria è sempre quella di superare il concetto di genere musicale chiuso, intrecciando influenze anche molto distanti tra loro dettate dai miei gusti, dai viaggi, dalle collaborazioni. E così trovo nella mia musica sonorità classiche, barocche (Vivaldi è tra i compositori che amo di più), ma anche folk, etniche, in particolare la musica celtica che ho suonato per diversi anni (bretone, irlandese, scozzese); c’è il mio gusto per il pop, per alcuni cantautori (Battiato è oggi sicuramente quello che mi ha influenzato di più), ma anche per la musica ballabile, per il mondo dei dj e dell’elettronica, un sapore con cui mi piace contaminare molti brani.

Quali sono le collaborazioni musicali?

La realizzazione dei miei brani avviene sempre lavorando in simbiosi con Cristian Bonato, il mio produttore artistico, e coinvolgendo i musicisti che mi accompagnano anche dal vivo, arricchendo ciascuno a proprio modo le mie idee. E’ bello poi coinvolgere anche musicisti che di base non gravitano intorno al mio progetto, per ampliare ulteriormente gli orizzonti e i colori sonori, come è stato per “Awakening”, al quale hanno partecipato anche diversi miei compagni di viaggio appartenenti al team di Einaudi.

 

Quali sono i contenuti che vuoi trasmettere attraverso la musica?

Credo prima di tutto che la musica debba essere sfogo per chi la ascolta, liberazione, elevazione, una forma di energia corporea che non passa dal cervello. Parlo in particolare della musica strumentale, che, aldilà del significato che chi la scrive le può dare (derivante magari dalla sua stessa ispirazione originaria, come nel caso di “Breeze”), ha la forza di assumere contenuti soggettivi per ogni singolo ascoltatore. 

Com’è nata la collaborazione con “Warner Music Italy” per il lavoro in promozione? 

La collaborazione con Warner ha avuto inizio nel 2019 con la pubblicazione di “Awakening”, un lavoro che avevo già realizzato nel corso dei due anni precedenti e che ho presentato loro grazie al mio manager Marco Stanzani, scaturendo l’interesse dell’etichetta ad occuparsi di quella e delle successive release.

Parliamo delle pregiate esperienze di live, concerti e concorsi?

Non adoro il mondo dei contest, che trovo abbastanza distante dal mio concetto di fruizione della musica; ho partecipato giusto da bambino ad alcuni concorsi cantautorali che comunque mi hanno insegnato presto a controllare la tensione. Altro discorso sono invece i live, che definirei quasi il mio pane quotidiano, in particolare grazie all’esperienza con Einaudi, che dura da 11 anni ed è costantemente formativa oltre che emozionante. Il concerto è per un musicista una dimensione sacra, una comunione emotiva potentissima tra artista e spettatori. 

Cosa ne pensi della scena musicale italiana? E cosa cambieresti/miglioreresti?

Penso che l’avvento di nuove culture musicali definite più “giovanili” sia in realtà una ricchezza. Ci sono davvero tanti giovani talentuosi ed originali nel panorama contemporaneo, tra rapper, trapper, cantautori “indie”. Il problema, secondo me, è da sempre lo stesso: il mercato tende ad omologare, unificare tutto in una direzione che è quella del genere di tendenza, oscurando tutto ciò che esiste di altro e che viene automaticamente etichettato come “vecchio”. Mi piacerebbe quindi che l’apertura a nuovi orizzonti musicali non precludesse la conservazione di generi considerati più classici ma fondamentali in Italia, ad esempio quelli del cantautorato.

Oltre al lavoro in promozione quale altro brano ci consigliate di ascoltare?

Forse suggerirei il brano che dà il titolo al mio primo album, “Awakening” appunto, al quale sono profondamente legato.

Come stai vivendo da artista e persona questo periodo del covid-19?

Logicamente soffro molto, troppo, la mancanza di concerti; una carenza artistica che genera anche un vuoto personale e che nessun video in streaming può colmare veramente. Per fortuna ho saputo trasformare questo lungo periodo di stasi in un momento creativo, nel quale sto appunto lavorando a tante nuove idee, e questo mi tiene decisamente in vita.

Quali sono i programmi futuri?

Il programma più imminente è la mia partecipazione al Festival di Sanremo, per la seconda volta come direttore d’orchestra. Un’esperienza che mi piace perché mi offre un diverso punto di vista rispetto a quello che in genere faccio. Per il resto sono, come dicevo, molto concentrato sulla realizzazione di nuovi brani e, ovviamente, sull’attesa di poter riprendere l’attività live, confidando almeno su qualche possibilità in più per l’estate.